Pubblichiamo il racconto risultato vincitore del concorso “Novella bormina” bandito dal giornale “Il Corriere della Valtellina” nel settembre 1948.
LE MANI, racconto di Roberto Zazzi
… Anche l’amico si sposa – così dicevo al vecchio pastore. Era la fine di un lungo discorso, una confessione a metà fatta di vita e di sogno, quando l’animo può esprimersi senza timore e, insensibilmente, sconfina nel desiderio, quasi vivendolo nella parola. Attesi a lungo che il vecchio amico parlasse, ma non m’inquietava il silenzio: già ero adusato a quella strana natura di sapiente selvatico e solo, e ripensavo le mie parole.
La strada costeggiava il torrente che non s’udiva neppure: solo la neve gelata scricchiolava sotto i piedi e faceva compagnia. La luna già s’era alzata e nel fondo, tra i pini, si poteva indovinare il biancore di una cima, quando l’improvviso suono delle sue parole mi fece trasalire (è come se la fanciulla che sogni ti appare all’angolo della via e per un attimo resti smarrito). – Pensavo alla giovinezza, amico – la voce ormai era accolta dall’animo in attesa – alla mia giovinezza e il tuo discorso mi fa ricordare quel tempo quasi dimenticato. Un giorno, era forse d’agosto, mi accosto alla montagna per pregare con le parole che avevo imparato da un vagabondo, quando mi tornò al cuore la vita di una guida di lassù.
Ascolta, ti parlo di una guida e si sposa come l’amico che tu forse rimpiangi perché stai perdendolo al sogno.
Viveva dunque lassù Bepin, la guida della Thurwieser e nella stagione, d’estate, tornava spesso in paese, stanco dopo le molte salite, tornava per salutare la bimba del cuore e il loro incontro era come se il Dio della montagna scendesse per un attimo a farsi umano.
Poi, come spesso è la vita di lassù, una sera la bimba attese a lungo Bepin: già suonata l’Ave Maria, le vie erano deserte; attese a lungo Maria, poi con un improvviso timore salì verso la montagna. Qui sopra dove la luna sembra improvvisamente spegnersi in quella linea oscura che attraversa la roccia, passa il sentiero dei confini e in alto si fa ripido nella parete e pericoloso. Forse un appiglio cedette, forse il piede cercò per un attimo un sasso nel vuoto …
Nella notte, i cercatori trovarono il corpo di Maria e la sua camera laggiù in paese, dopo che lei fu tornata, era più chiara del solito. Così pensava Bepin che come tutte le sere, guardava dal fienile dirimpetto in attesa di contrarla.
E’ più chiara del solito – pensava Bepin – c’è festa in famiglia – e ricordava il vento al passo delle Streghe e quel fuoco improvviso che par che avvampi, quando si trova un riparo. Poi scorse Maria, tutta bianca tra i quattro ceri e le sue mani che nella luce tremolante delle candele sembravano muoversi. Le mani di Maria, le mani di Rosa (la sorella pregava china ai pedi del letto) – me l’hanno cambiata – pensava Bepin tornando alla montagna e il cuore ricordava le parole del vagabondo: “ Dio della montagna fa che sul cammino che ci conduce a te, noi troviamo la nostra compagna e la vita”. – Me l’hanno cambiata – ma forse più che a quella scena, ripensava al chiaro insolito e a quelle mani che ora sembravano le mani della morte in preghiera.
Così il tempo passò e a poco a poco, un nuovo amore (così disse la gente) sorgeva ma era il vecchio amore che solo s’affidava a quelle mani che vivevano in Rosa.
Ancora dalla montagna tornava Bepin, come smarrito di sentirsi felice.
E quando fu sposa, il quadro di Maria restava alla parete, quasi per unirlo a Rosa. Così a lungo.
Ascolta amico: qui forse come in tutte le storie d’amore, tu attendi la fata della felicità e forse sorridi alla mia guida, alle mani di Rosa e di Maria.
Lo so: ora l’amore non ha di queste consolanti tenerezze, ma un tempo gli uomini di quassù sembravano eterni e bambini come le montagne che sono eterne e pur sempre mantengono il candore del primo giorno.
Poi il quadro sparì e quel bianco rettangolo nel bianco più sporco della parete fu come un vuoto disperato nel cuore di Bepin. Anche le mani di Rosa non erano più nulla. Solo la montagna restava e a lei ritornò.
Ritornò passando per il sentiero lassù verso la tormenta. Ma il passo presto divenne più lento: il vento portava alta la neve né più si poteva ritornare. Presto venne la disperazione: le mani sembravano divenute insensibili ad ogni comando.
Divengono bianche: quasi scompaiono nel bianco della neve.
Il vento dal passo delle Streghe sembrava urlare parole di maledizione e d’aiuto, e Bepin pensa a Maria nel tragico volo.
(Era come se l’anima sua ritornata alla montagna cominciasse a comprendere il linguaggio misterioso delle cime); si, sono parole di richiamo: le mani ormai scomparse sono già nella montagna e l’urlo del vento è come il canto dei confinà sulla Geister, quando nella notte di Natale si raccolgono attorno al Dio della montagna (Gli uomini guardano a quel chiarore lassù e pensano alle stelle. Non sanno che le anime che muoiono sulla montagna, rimangono in essa). Anche l’amico si sposa, ma lì resta il vecchio pastore.
Amico addio: anche Bepin volle amare la bimba e la montagna ma non si può rinunciare al sogno.
(pubblicato su “Il Corriere della Valtellina” del 13 novembre 1948)