La chiesa di san Gallo

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Ilario Silvestri, La chiesa di san Gallo – 91 pagine, illustrazioni b/n e colori, cucito a filo, copertina morbida, formato pagina 24×17, Bormio 2004.

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La pubblicazione parla della fondazione e delle vicissitudini storiche che hanno interessato la solitaria chiesa di san Gallo, un tempo parrocchiale di Premadio in Valdidentro. Un capitolo è dedicato alla biografia del santo titolare e un altro alle leggende e credenze riguardanti questo sacro edificio, la cui sagrestia venne erroneamente ritenuta il luogo di detenzione delle streghe la notte prima di salire sul patibolo.

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Le origini della chiesa: qualche ipotesi

Del tutto sconosciute sono le origini della chiesa di san Gallo e l’alone di mistero che la circonda ha favorito il formarsi di molte congetture per spiegare la sua ubicazione o lo scopo della sua edificazione, Qualcuno vuole che la chiesa fosse parte di uno xenodochio, ossia un ricovero per pellegrini e viandanti. Altri parlano di un complesso fortificato.

Ancora si ipotizza l’esistenza di un piccolo monastero ma, sebbene le istituzioni ecclesiastiche abbiano avuto sempre particolare cura nella conservazione dei documenti, non ne è stato trovato nessuno che giustifichi tale supposizione.

Nulla quindi, almeno secondo le fonti documentali, corrobora le ipotesi che la tradizione popolare (e non solo) ha fatto proprie, anche se forse vi è un barlume di verità in ognuna delle tre congetture. La tradizione orale vuole che la sua fondazione sia “millenaria”.

In documenti seicenteschi la chiesa è definita di fabbrica antica fondamentalmente ed il riferimento è certo all’edificio ricostruito negli ultimi decenni del Quattrocento.[1]

Espressioni generiche come queste sono assai frequenti quando si tratta di edifici molto antichi, ma non aiutano certo una ricostruzione con qualche fondamento scientifico.

Non sembra comunque irrilevante notare che il franco Waldo,[2] abate del monastero di san Gallo nella valle dello Steinach dal 782 al 784. salì alla stessa dignità nell’abbazia parigina di san Dionigi dall’806 all’814 e, in quell’arco dì tempo, fu anche signore del Bormiese in virtù della donazione dello rendite valtellinesi che Carlo Magno fece a quel cenobio.[3]

E assai probabile che proprio Waldo, nobile franco assai influente, abbia diffuso il culto di san Gallo non solo nel Bormiese, dove era signore, ma anche in tutta l’Italia franca. È da ricordare infatti che, divenuto abate dell’abbazia di Reichenau nel 786, stipulò un accordo con il suo successore a San Gallo in Svizzera, Werdo, per la pratica reciproca di preghiere per la morte dei confratelli, pratica che i loro successori, nell’846, estesero alle comunità monastiche di Bobbio dove era sepolto il maestro di san Gallo, san Colombano.[4]

È quindi verosimile che l’influenza di Waldo presso i Franchi abbia favorito il culto di san Gallo in tutta la parte d’Italia da loro conquistata: per esempio a Firenze c’è una chiesa a lui dedicata, ed a Milano era ancora diffuso il culto nel 1389, quando si commissionò una tela con l’immagine del Santo irlandese a Bernardino de’ Grassi per l’altare maggiore del duomo.[5]

Aiuta altresì sapere che il toponimo Candonesc, che anticamente defìniva il territorio su cui sorge la chiesa,[6] deriva da un antico campus domini, ossia “campo del signore”, ed indica l’appartenenza ad un dominus che poteva essere laico, ma anche ecclesiastico. Nei documenti dell’XI secolo attinenti alla storia del Bormiese vi è infatti memoria di chiese e relative rendite di patronato laico[7] come di patronato ecclesiastico.[8]

Era altresì consuetudine in epoca medievale inglobare un tempietto dentro complessi fortificati,[9] i quali erano costruiti lungo lo strade per offrire ospitalità e protezione a pellegrini, viandanti e mercanti. I Carolingi furono particolarmente attenti a garantire la sicurezza del transito sui passi alpini e si affidarono per tale fine proprio alle istituzioni ecclesiastiche.

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Estratto da Ilario SILVESTRI, La chiesa di san Gallo, pp. 13-14.

NOTE

[1] Archivio Parrocchiale di Premadio, cartella Parroci, note del Parroco Pietro Viviani, 1696.

[2] Sulla parete a destra della scomparsa chiesa d’origine carolingia di san Martino di Serravalle era dipinta un’immagine accanto alla quale vi erano le lettere iniziali del nome del personaggio effigiato, Wal. Esse individuavano con ogni probabilità l’abate Waldo.

[3] Diploma del 1 marzo 775.

[4] D. GEUENICH, Le fratellanze di preghiera di san Gallo, in AA.VV., L’abbazia. San Gallo, Milano 1991, p. 29.

[5] P. TOESCA, La pittura e la miniatura nella Lombardia, Torino 1987, p. 136.

[6] Definisce ancora gli appezzamenti a sud-ovest dell’edificio. Anticamente il toponimo Campodonego definiva una una porzione di territorio più ampio. Archivio di Stato di Milano, Fondi per religione, Sant’Abbondio di Como, cartella 3472, Inventario dei beni del monastero, 1316, … ubi dicitur ad Sanctum Galum in Campodonego…

[7] Archivio Parrocchiale di Bormio, Calendario delle stazioni capitolari dell’arciprete Giovanni de Capitaneis de Figino, 1402. Nalutua e Pagana del fu Lanfranco di Vico Arenato, detto di Torre, con il consenso dei rispettivi mariti Arderico e Alderano, l’8 febbraio 1100 donarono all’arciprete e al capitolo di Bormio la chiesa di san Siro di Bianzone, di cui erano costruttori, fondatori e dotatori, con tutte le sue rendite.

[8] C. BOZZI, Appunti per una storia di S. Antonio Morignone (dattiloscritto).Il vescovo di Como Alberico, nel 1010, donò la chiesa di san Martino di Serravalle, con le sue rendite, al monastero di sant’Abbondio di Como, appena fondato.

[9] La stessa chiesa di san Martino era prossima alle fortificazioni di Serravalle. Quella intitolata allo stesso Santo ai Bagni era inglobata in una fortificazione, come attesta la pace del 16 aprile 1201 tra il Comune di Bormio e quello di Como. La chiesa dei santi Pietro e Paolo al Castello, sopra Bormio, era inclusa nelle fortificazioni. A Grosio è ancora visibile la chiesetta di san Faustino nella parte più antica del castello Venosta.

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