VALTELLINA, TERRA DI CONFINE, DI LEGGENDE E DI RACCONTI - recensione

Presentato il volume edito dalla Banca Popolare di Sondrio con i saggi composti dagli studiosi locali
 

Confini e leggende sembrano solo antinomici e contrapposti; gli uni segnano la terra, le altre paiono vivere sospese nella memoria delle persone, ma entrambi costituiscono uno spazio di frontiera in cui si incrociano le narrazioni della vita, che questo libro ha raccolto solo in minima parte.

Introdotto da un saggio di Guglielmo Scaramellini, il volume si apre con la mirabile descrizione della montagna fatta da Herman Hesse in Peter Camenzind, in cui molti montanari potrebbero specchiarsi: l’infanzia trascorsa tra i monti, infatti, agisce da imprinting sulla propria vita e quel “senso della natura” ricevuto durante l’infanzia rimane per sempre impresso e radicato in noi adulti. Quella stessa natura che, oltre ad essere percepita come carica di presenze mostruose e mitologiche, era tuttavia foriera di appassionate indagini scientifiche da parte degli eruditi, come ci ricorda il saggio di Luciano Suss sui raccoglitori di insetti fra Ottocento e Novecento.

Lorenza Fumagalli apre la rassegna dei saggi e si sofferma sulle problematiche insorte dopo la ridefinizione dei confini avvenuta con l’avvento della Cisalpina nel 1797, che sprofondò Bormio in uno dei suoi periodi più derelitti di sempre causando, persino, gravi disordini popolari.

Sul tema folcloristico si dipanano i contributi di Cristina Pedrana e di Anna Lanfranchi; la prima focalizzata su alcune figure di studiosi che dettero grande impulso alla cultura popolare e, in particolare, del dialetto: un’attenzione per la lingua parlata che solo oggi ha ritrovato piena condivisione d’intenti; la seconda porta alla ribalta un personaggio a cui tutti, oggi, dovremmo essere debitori: il maestro Alfredo Martinelli “favoleggiatore della Rezia” e acuto scrittore del suo tempo (sua l’invenzione della locuzione “Piccolo Tibet” affibbiata a Livigno).

Il viaggio, come momento imprescindibile di formazione e di conoscenza del mondo, è al centro degli scritti di Daniela ValzerDario CossiAnna Lanfranchi. La prima autrice ripercorre i passi del filosofo e viaggiatore trentino Carlo Pilati che nel 1774 si trovò a transitare per l’Umbrail ricavandone una grandissima impressione come ben pochi altri luoghi d’Europa; Dario Cossi narra la permanenza di un cartografo francese nella Valfurva della seconda metà del Seicento, diretto a Pejo attraverso il passo della Sforzellina; un altro grandioso passo, quello dello Stelvio, è tratteggiato da Anna Lanfranchi in un’epica ascesa ciclistica di fine Ottocento a cavallo addirittura di un tandem.

Non di viaggio di piacere, bensì di esilio, fu quello intrapreso da Battista Leoni, insegnante e studioso locale, negli anni successivi all’armistizio e riportato nell’articolo scritto a due mani da Pier Carlo della Ferrera e Alberto Sertori; all’esatto opposto, i contributi di Lucia Valcepina e Massimo Mandelli propongono divagazioni liriche in versi e prosa, narrazioni ammantate di nostalgia e di slanci intellettuali con diversi protagonisti del panorama culturale bormino e italiano.

Il confine dello Stelvio torna al centro della scena insieme a una delle sue più viscerali abitanti, purtroppo recentemente scomparsa: Lorenza Giobbe è ritratta da Daniela Valzer in una panoramica a ritroso nel tempo, lungo i 50 anni di vita e di lavoro trascorsi all’ombra della Drei Sprachen Spitze. E uno sguardo al passato è anche quello riservato da Stefano Zazzi alla Bormio che fu, rivista negli occhi del vecchio Gervasio emigrante di ritorno in un paese che quasi non riconosce più e per il quale “occorre costruire una nuova cultura della montagna, una comunità alpina assecondata da pensieri alti e da progetti strategici, sempre ben ancorati sul terreno”.

Un auspicio finale in cui tutti noi valligiani non possiamo che ritrovarci.

Anna

 
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